martedì 4 dicembre 2007

GOMORRA

UN CONSUNTIVO CRITICO DOPO CINQUE SETTIMANE DAL DEBUTTO:

COSI’ LA CRITICA

Potere del teatro e degli attori, capaci, come nella vita reale, di coniugare tragedia assoluta a effimeri momenti di leggerezza. […] Si muovono come automi in uno spazio desolante diviso in due piani fra pilastri abusivi, che fungono da confine drammaturgico. Lasciando al protagonista, il Roberto di Ivan Castiglione, il compito di legare i tanti fatti. Risultato uno spettacolo dai grandi ritmi, a tratti iperrealista, capace di affogare nei rapidi cambi di scena tutti i rischi di oggettiva didascalicità. (Stefano de Stefano, «Corriere del Mezzogiorno»)

Alla base dell’allestimento di “Gomorra” vi è l’intenzione di rileggere, in una prospettiva civile, il rapporto tra l’uomo Roberto Saviano, ciò che egli ha scritto e come questo si sia tramutato in una vicenda paradossale, ibrida, intrisa di un’infinità di voci e di volti, di luci, suoni, silenzi, gesti, movimenti. Gli stessi elementi che, estrapolati dall’opera letteraria, ritroviamo sintetizzati nell’agire di cinque prototipici personaggi, tutti interpretati con straordinaria intensità emotiva. (Francesco Urbano, «Roma»)
Due dita sfiorano il microfono nel buio della sala. Si sente? Bene si sente:si accendono le luci, in piedi un po' impacciato davanti al microfono c'è Roberto Saviano. Non lui esattamente ma il suo alter ego Ivan Castiglione, l'attore che con il regista Mario Gelardi ha ideato lo spettacolo "Gomorra". Il discorso che il pubblico ascolta è lo stesso che Saviano pronunciò a Casal di Principe il 23 settembre 2006. Proprio lo stesso: lo scrittore aveva parlato a braccio, Castiglione lo rende con millimetrica precisione. Con le esitazioni, le ripetizioni e i salti sintattici del timido che parla in pubblico sostenuto solo dalla sua indignazione. Lo spettacolo si dipana a partire da quel discorso: novanta minuti di indignazione a fior di pelle, proprio come quel giorno a Casal di Principe.(Antonio Tricomi -Repubblica, Napoli)

Il libro lo hanno comprato quasi un milione di persone, mentre i fruitori della riduzione teatrale (110' filati) non possono essere per ora più di novantotto a recita, ossia quanti ne contiene il Ridotto del Mercadante. Costoro sono tuttavia dei privilegiati, perché Gomorra diretto da Mario Gelardi, adattatore del testo insieme con l'autore Roberto Saviano, è uno spettacolo eccellente, vivo, vitale, appassionante, di quelli che ogni tanto riconciliano col medium. (…)I ritratti sono consegnati, mediante un dialogo brillante, da sei attori tutti in stato di grazia. (…)Il palco sul fondo è praticabile al primo livello, come fosse un cavalcavia, ma anche occultabile mediante proiezioni di immagini astratte e abbastanza lugubri. Le luci evocano sempre un mezzobuio malsano, come se il sole non splendesse mai su questi luoghi corrotti, i cui indigeni non sembrano aspettarsi più nulla. Non è tuttavia a un comizio che assistiamo, Saviano non vuole imporci niente, né sembra avere altra medicina da proporre se non la speranza che un numero sempre maggiore di persone smetta di ritenere questo tristo stato di cose come inevitabile. Ma ad alimentare il suo e il nostro pessimismo aggiunge la considerazione che qui non di pittoresca criminalità locale si tratta, bensì della massima visibilità di un sistema occulto che ormai ha ramificazioni, almeno in Italia, quasi dappertutto. (Masolino d'Amico - LA STAMPA)

Erano due le assenze alla prima nazionale di Gomorra lunedì sera al Teatro Stabile di Napoli Mercadante: quella dell'autore Roberto Saviano, per questioni di sicurezza vivendo egli sotto scorta, e quella della speranza così come nel libro diventato un best seller di livello mondiale. Mancava "l'addà passa' 'a nuttata" di eduardiana memoria, frase che indica la certezza, pur nell'attesa, della luce che verrà a sciogliere le tenebre della notte e della vita. La frase che conclude invece Gomorra ­"Non datevi pace!" che un molto convincente Ivan Castiglione, nei panni dello stesso Saviano, lancia al pubblico, ma che lascia un senso di ineluttabilità, che trascina con sé l'angoscia di un destino già scritto cui è ­impossibile opporsi. (L’AVVENIRE Valeria Chianese )

In uno scenario da provincia dissestata da costruzioni abusive - impalcature di tubi innocenti, sacchi di sabbia, bidoni di vernice, pilastri dissestati - si dipanano i due piani della scena, un qualunque slargo cittadino e una balconata con uno schermo, quasi a rappresentare i due livelli, quello più basso della violenza cieca e animalesca, il braccio armato col feticismo per il kalashnikov o i test delle droghe scadenti (lasciate provare ai Visitors, quelle larve umane disposte a tutto per una dose di kobret, eroina, ecstasy) e quello più alto, dei manager senza scrupoli laureati alla Bocconi capaci di interrare tonnellate di rifiuti tossici provenienti dal Nord Italia a poca distanza dei condomini iperpopolati, quel livello imprenditoriale che non si sporca mai le mani (ottimamente reso dallo Stakeholder, l'uomo indispensabile, Giuseppe Miale di Mauro), che strozza commercianti e agricoltori coi tassi da usura e gestisce traffici illeciti, dalla Campania alla Cina alla Russia. (…) Di fronte al materiale incandescente del romanzo, la versione teatrale ha deciso di puntare su brevi flash, una sequenza di quadri narrativi, dialoghi inevitabilmente accorciati, in un continuo rincorrersi di situazioni ed avvenimenti, dove lo stesso Roberto Saviano (interpretato da Ivan Castiglione) fa da ulteriore raccordo. E nel drammatico finale, tornano le parole conclusive del discorso di Roberto Saviano, esploratore di un malefico universo pericoloso, «fino al termine della notte io proseguirò questo viaggio. Non datevi pace». E nessuno, alla fine dello spettacolo, può andar via a cuor leggero, uscendo in piazza Municipio, tra i cumuli di rifiuti e l'arroganza della microcriminalità, le comitive di turisti e i monumenti carichi di storia. (IL MANIFESTO Flaviano De Luca)


Un’inferno di cemento e tubi innocenti a due piani, un lugubre crocevia di violenze e traffici, uno spettacolo teatrale quasi neo brechtiano con prototipi e vergogne tratte dall’opera più denunciataria e ammonitoria in tema di peste sociale del crimine. (LA REPUBBLICA – Rodolfo di Giammarco)

Una linea impervia, "antipatica", incapace di mediazioni, preferita dal regista Mario Gelardi. lo spettacolo riaccende le luci sul "teatro di parola", sul "rito culturale" di cui Pasolini stesso parlava quando scriveva il suo manifesto, nel 1968.Di qui la scelta di avere il personaggio dello stesso Roberto Saviano in scena, nella figura di Ivan Castiglione, perfetto alter ego dello scrittore, con la sua camminata veloce e leggera, la parlata diretta, chiara, addolorata e non impaurita, in grado di farci vedere l'ostinazione dell'insonne in battaglia, la solitudine rumorosa di chi è in ascolto e solo dopo aver ascoltato parla, e scrive. (…)Nello spettacolo, recitato con un realismo impressionante da tutti gli attori, la parola arriva come una scazzottata, una botta di freddo seguita da un improvviso calore che ti porta a sudare. Persino nella scena più drammatica si nega la catarsi. A questi ragazzi non interessa sedurre quanto raccontare l'immateriale linea dei soldi, la mostruosa forza imprenditoriale che fa molti più morti di quelli che si vedono sulle strade della provincia di Napoli (3700 dal '79 ad oggi).Accadeva anche nel libro. Saviano non è affascinato dai suoi nemici, non li rende epici, come ha fatto quasi interamente la letteratura di soggetto mafioso dal "Padrino" in poi. Se Totò Riina è capace di stare seduto due ore nella sua cella a contemplare la fiction che narra la giovinezza sua e di Provenzano, per contro mai nessun camorrista entrerà in teatro a vedere Gomorra senza desiderare di spaccare tutto. (Katia Ippaso LIBERAZIONE)


Il libro è ormai nella storia, una di quelle cose capaci di scardinare le coscienze e i mercati, le consuetudini ufficiali, i conformismi. Non tutti sono napoletani, non tutti sanno e vivono. Per costoro Gomorra di Roberto Saviano ha spalancato senza reticenze le porte di un mondo interamente da rifondare, dandogli rilievo critico e risonanza internazionali. Per costoro, ma anche per i protagonisti sul campo, giovani e vecchi, di un malessere in costante aggiornamento, lo scrittore ha accettato di trasformare Gomorra in teatro. Il copione di Saviano con Mario Gelardi, sceglie alcuni nodi scioccanti del libro e li espone, flashes di una memoria testimoniale che non si limita a mostrare le proprie ferite, il dolore di fronte alla corruzione, alle convivenze, al malaffare, all’assenza di futuro per le nuove generazioni, bensì ceca l’estensione della denuncia e il fomento di una maieutica incazzatura. (…) La terribilità di droga e frode, riciclaggio, violenza e connivenze di cui “dicono” i sei attori, tutti estremamente coinvolti, arrivano dirette, macigni letali la cui forza si chiama in due modi, verità e coraggio. (IL MESSAGGERO – RITA SALA)

Rabbia e angoscia, ma soprattutto tanta amarezza, ecco cosa si prova nell’ascoltare le realtà narrate da Roberto Saviano. E questo senso di disagio e orrore si amplia quando i personaggi, prima solo letti, prendono corpo. È in scena “Gomorra” di Roberto Saviano e Mario Gelardi, quest’ultimo anche regista, al Teatro Stabile Mercadante di Napoli. Le cinque storie tratte dal romanzo sono saggiamente intrecciate dagli autori e il loro collante, e protagonista dello spettacolo, è proprio Saviano. È una necessità che spinge Roberto a indagare sui meccanismi del sistema camorristico, necessità derivante da una pressione subita sin da piccolo, in un luogo dove saper sparare è l’unico modo per farsi rispettare come uomo. (…)È un’ossessione: “capire è l’unico modo che avete per difendervi” - afferma nel toccante discorso fatto nel 2006 a Casal di Principe, che apre lo spettacolo, interpretato da un emozionante Ivan Castiglione, il quale ci regala l’interiorità di Roberto senza cadere nel banale tentativo di imitarlo. (…)Ciò che colpisce di gran parte di questi personaggi è il loro senso di onnipotenza, derivante solo dall’essere dalla parte dei “forti”, di coloro che comandano. Il tutto portato in scena in modo semplice, realistico, crudo e di grande impatto emotivo, così come le scene di Roberto Crea, grazie anche alle immagini suggestive di Ciro Pellegrino e alle musiche spettrali di Francesco Forni, perfettamente complementari alle vicende, a cui aggiungono grande poesia. (IL BRIGANTE - Mariagiovanna Grifi)

Gomorra a teatro è come una scazzottata improvvisa, violenta, rapida, che fa male ma che ti obbliga a reagire. L’impressionante realismo delle storie portate in scena, al Teatro Mercadante, dal regista Mario Gelardi e scritte da Roberto Saviano arriva davvero come un pugno dritto allo stomaco, non ti far star fermo sulla sedia, le braccia e le gambe in continua tensione con l’istinto di alzarsi in piedi e gridare “Basta!”. È il racconto di una città sempre in costruzione ma in decadenza e nella quale si ha la sensazione di entrare in punta di piedi per poi farsi trascinare dall’impetuoso rincorrersi delle storie dei protagonisti, dal loro volto sempre più familiare.E alla fine ne esci con il cuore sconquassato da mille sentimenti, dalla rabbia per un mondo che realmente esiste, dalla tenerezza che riesce a provocare la morte di Kit Kat, il giovane corriere della droga che tutti vorrebbero proteggere interpretato da uno straordinario Adriano Pantaleo. (… )A fare da collante tra le vicende dei protagonisti è lo stesso Roberto Saviano, sul palco nella figura di Ivan Castiglione (foto in alto), perfetto alter ego dello scrittore, con il suo modo di parlare chiaro e diretto, addolorato ma non spaventato, capace di scrivere un articolo di giornale su quello che i suoi amici del “Sistema” gli raccontano, senza temere conseguenze e fermamente convinto di non volerne far parte. Quel «non valete niente e ve ne dovete andare» che Saviano pronunciò nel suo discorso a Casal di Principe contro il clan dei Casalesi apre lo spettacolo: Ivan Castiglione lo recita per intero, con la stessa enfasi e lo stesso sguardo arrabbiato e consapevole che aveva lo scrittore quel giorno che parlò alla sua terra. Il prologo, che anticipa la scena vera e propria, è uno dei momenti dello spettacolo in cui il regista Gelardi mostra quello che è stato il “dopo caso editoriale Gomorra”. (…)Francesco Di Leva, perfettamente calato nella parte, riesce ad interpretare Picatchu con un realismo sconcertante, è capace di far rabbia quando prende a calci un ragazzo sofferente per una dose di droga eccessiva, di suscitare terrore quando impugnando la pistola fa per sparare un colpo in testa a Kit Kat, suo fedele pusher. Di Leva riesce persino a far commuovere, quando alla fine, il suo pianto commenta la morte di Kit Kat consumata fuori scena. (…)Alla criminalità “ruspante e popolare” di Picatchu e Kit Kat si contrappone quella imprenditoriale di Mariano (Antonio Ianniello) e lo Stakeolder (Giuseppe Miale Di Mauro). (…)Sul finale, sullo sfondo il pianto disperato di Picatchu per l’uccisione di Kit Kat, Roberto parla del funerale del ragazzo, ma nemmeno qui c’è il minimo accenno di catarsi a dimostrazione che il vero Saviano non ha “epicizzato” questi personaggi come accedeva nel “Padrino”, non ne è rimasto romanticamente affascinato anzi, li ha messi “in ridicolo” portando a galla lo squallore di quella realtà. E tornano le parole conclusive del discorso a Casal di Principe: «Vengo da una terra in cui ai ragazzi insegnano che vita e morte sono la stessa cosa. Ma io so che vita e morte non sono la stessa cosa e che fino al termine di questa notte proseguirò questo viaggio. Non datevi pace». (Viola Tizzano – Oltre News)

Ci sono spettacoli che sono necessari. Per aprire le coscienze, farsi specchio della società, denunciare, aiutare a mantenere viva l’attenzione. Un teatro che faccia da eco alla verità, che dia “carne” alle parole. E non permetta l’oblio. Gomorra è uno spettacolo necessario, perché tutto ciò di cui ci parla e ci sbatte in faccia, appartiene al nostro presente e non può non riguardarci, non rimanerci addosso. Una verità che dal romanzo trova in teatro la sua dimensione del reale, diventando forma teatrale, “rito culturale”. (…)Ma il messaggio arriva, grazie anche alla magnifica prova degli interpreti Antonio Ianniello, Francesco Di Leva, Adriano Pantaleo, Giuseppe Miale di Mauro, Ernesto Mahieux. E in quella chiosa finale affidata sempre allo scrittore «fino al termine della notte io proseguirò questo viaggio. Non datevi pace» c’è anche un filo di speranza che ci attraversa. (Giuseppe Distefano- LIVE CITY)

Questa Gomorra ti entra dentro, ti lascia il segno come le mille impronte di sangue e le centinaia di buchi di kalascnikov che il regista proietta sulla scena: c’è cura in ogni aspetto dello spettacolo, dalla connotazione musicale dei “neomelodici” napoletani ai segni di un popolo alla ricerca di certezze come Pulcinella, Maradona, ‘A Madonna e San Gennaro che appiano alla fine dello spettacolo. E un briciolo di speranza anche nel messaggio finale di Roberto: Vita e Morte non - sono la stessa cosa, ma datevi Pace. (BARILIVE –Antonella Ardito)
Le foto sono di Marco Ghidelli

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